Michela Murgia, una forma molto dubbia di cattolicesimo

Solo ora che è morta, apprendo che Michela Murgia sarebbe stata una credente di fede cattolica. Non è una battuta sarcastica, che sarebbe di pessimo gusto, ma la pura e semplice verità. Non ho mai sospettato che Murgia potesse sentirsi cattolica, e dico sentirsi perché, lo dico con molto rispetto, cattolica oggettivamente non è stata, né sul piano dottrinale, né su quello teologico, né su quello etico e culturale, mentre ho sempre sospettato che, tra le principali cause del suo antiautoritarismo viscerale e della sua esibita trasgressività, si dovesse includere il pessimo rapporto che ella, come lei stessa riconosce, avrebbe avuto con la figura paterna1 (Intervista di S. Marchetti, Addio a Michela Murgia, l’ultima intervista: “il tempo migliore della mia vita”, in “Vanity Fair” del 10 agosto 2023). Il giudizio ultimo, come al solito, spetta al Signore, e spero di cuore che sia antitetico al mio, ma, per quel che mi è consentito di capire e testimoniare in qualità di battezzato in Cristo, non mi pare sussistano elementi che autorizzino a considerarne il pensiero e la vita come fedelmente conformi alla dottrina e ai valori del cattolicesimo.

Nel dicembre 2022, sulle colonne del quotidiano “La Stampa”, ella scriveva che «i cattolici amano un Dio bambino perché rifiutano la complessità», senza capire che la complessità avrebbe voluto piuttosto che ci si chiedesse per quale motivo Dio ha sentito il bisogno di venire al mondo come un qualunque essere umano. Che ciò che è più grande si lasci contenere in ciò che è più piccolo, per citare Hölderlin, sia vera espressione di divinità, è qualcosa che sarebbe sempre sfuggito alla “cattolica” Murgia, amante com’era della facile e chiassosa polemica dissacratoria e affetta da una smania di protagonismo a sfondo narcisistico che l’avrebbe sempre indotta a ritenere che le cose importanti della vita debbano essere sempre comunicate in forme appariscenti e sfarzose. Ma l’intellettuale sarda avrebbe avuto da ridire anche su un’importantissimo assioma teologico del cristianesimo, quello per cui “Dio si è fatto come noi per farci come lui”, che ella avrebbe definito “mistificante”, stucchevole, zuccheroso. Tale assioma era stato formulato da sant’Ireneo di Lione in un’opera intitolata “Contro le eresie” con queste precise parole: «Cristo è divenuto ciò che noi siamo, per fare pienamente di noi ciò che è lui», e sarebbe poi diventato uno dei baluardi più solidi della teologia cristiana.

Il commento di Murgia, pertanto, non poteva che denotarne la profonda ignoranza teologica e una fede, a dir poco, inconsistente e immatura. Peraltro, con quel suo femminismo esasperato e pregiudizialmente antagonistico, con quelle idee certo trasgressive ma non per questo originali e civilmente evolute di “famiglia allargata” e di “sessualità non binaria”, con quella istintuale vocazione alla preconcetta contestazione ideologica e politica nel nome di una “sinistra” più anarcoide e licenziosa che intellettualmente rigorosa e moralmente disciplinata, ella fu sempre divisiva, e non certo per i motivi salvifici per i quali lo sarebbe stato nostro Signore oppure per le oneste e comprensibili ragioni etico-politiche per le quali lo sarebbe stato quel Gramsci di cui Murgia sarebbe stata, secondo quel che si legge, estimatrice e studiosa, senza chiedersi probabilmente se il suo modo di essere di “sinistra”, per contenuti e forma, sarebbe stato apprezzato dal grande pensatore sardo.

Murgia fu divisiva non nel segno di una rigorosa, disciplinata e realistica intelligenza critico-problematica, ma nel segno della pura faziosità, litigiosità, artificiosità eristica; non nel segno di una coscienza morale lucidamente basata su una razionale ed esercitata esigenza di controllo logico-gnoseologico, ma in quello di una insubordinazione valoriale di natura pulsionale e ribellistica e di un atteggiamento mentale e comportamentale posto sotto un prevalente dominio di voglie e umori meramente trasgressivi. Non dico che accanimento terapeutico, cure palliative per i malati terminali, eutanasia, stranezze e bizzarrie della sessualità, e via dicendo, non siano problematiche in qualche modo meritevoli di rientrare in un legittimo dibattito democratico, ma francamente una carriera letteraria e un successo editoriale costruiti opportunisticamente e fortunosamente su temi di questo genere non potrebbero essere ritenuti, in una società culturalmente ed eticamente più esigente di quella italiana e occidentale, che offensivi verso tutti quegli uomini e donne di pensiero e di studio che muoiono negletti e talvolta disprezzati pur dedicando tutta la vita a questioni ben più rilevanti e determinanti, e molto meno pruriginosi, del vivere civile. D’altra parte, sono molto rari i letterati di narrativa capaci di coniugare nelle loro opere estro creativo ed esercizio critico di razionalità, analisi del particolare e visione dell’universale, gusto per intriganti forme esistenziali di diversità e ricerca dura e disinteressata, fûr ewig come diceva Gramsci, del senso complessivo della vita  umana.

Non direi che, come alcuni dicono, Murgia sia stata “scomoda”, nel senso più nobile del termine. E’ stata irritante, questo sì, per la sua ostentata arroganza espressiva non inferiore a quella di Roberto Saviano, per la natura strumentale del suo argomentare, per la frequente incapacità di distinguere tra verità e menzogna, per la superficialità critico-culturale e per l’inconsapevolezza dei suoi limiti reali. Specialmente in quanto credente e teologa cattolica ha evidenziato limiti semplicemente scandalosi come già si è mostrato nella parte iniziale di questo scritto, anche se il quotidiano “Avvenire”, che da diversi anni ormai naviga decisamente fuori rotta, non ha esitato a riservarle lodi sperticate. Quella di Murgia sarebbe stata una fede coerente con la sua vita, ha scritto “Il Foglio Quotidiano” in data 11 agosto 2023. Non si può che concordare. Il problema è che la sua vita, piaccia o non piaccia, non è stata coerente con la sua presunta fede in Cristo. Il suo sarebbe stato un credo non convenzionale, ma profondamente inclusivo, quasi che il comune credo cattolico sia orientato ad escludere piuttosto che ad includere. Ma il problema è di intendersi su cosa e chi includere: tutto e tutti indistintamente? Va da sé che, eventualmente, una risposta positiva non potrebbe essere accolta e adottata neppure dalla più evoluta, dalla più emancipata e libertaria comunità umana: se tutti sono liberi di pensare e agire a modo proprio, come si farà a garantire la civile convivenza?

Una teologa cattolica, molto sentimentale, come Marinella Perroni, è arrivata a scrivere su “L’Osservatore Romano” dell’11 agosto 2023 che per Murgia «le relazioni erano espressione di Dio: non avrebbe certo potuto scrivere in God Save the Queer quelle pagine davvero magiche di teologia trinitaria se non avesse fatto questa esperienza di Dio e degli umani». Dio salvi il Queer. Catechismo femminista, il libro dell’autrice sarda pubblicato da Einaudi nel 2022, conterrebbe pagine magiche di teologia trinitaria! Sembra legittimo sospettare che qui la femminista, cioè Marinella Perroni, prenda il sopravvento sulla teologa e, d’altra parte, è molto dubbio che dietro tanta teologia femminile non si celi e non agisca in realtà una risentita quanto velleitaria intenzionalità femminista.

Ma come Dio potrebbe salvare fenomeni umani di palese disordine morale, di evidente violazione della stessa struttura antropologica del genere umano e della persona? Come Dio potrebbe salvare tutto ciò che si contrappone ad un corretto e virtuoso intendimento della sua volontà e della sua legislazione creazionale? Almeno un cattolico non dovrebbe avere dubbi circa la natura non tanto anticonvenzionale quanto bizzarra  e ripugnante delle idee, peraltro molto comuni e banali, avanzate da Murgia. Qui non si tratta di non voler rispettare il pensiero altrui, il pensiero di chi vorrebbe capovolgere non stereotipi realmente anacronistici e ormai moralmente incomprensibili e impraticabili di vita associata ma princìpi e norme universali e consolidati di organizzazione civile, qui si tratta di prendere responsabilmente posizione contro tutte le sciocchezze, le deviazioni, i vizi, le perversioni che attraversano sempre più assiduamente la mente collettiva di questo secolo molle e perennemente insoddisfatto, anche perché specialmente i pochi cattolici rimasti dovrebbero premunirsi per tempo contro la non remota eventualità che qualche cavallo di Troia possa astutamente introdursi tra le mura, sempre più sguarnite, della loro Chiesa.

Non basta evidenziare che «la sua visione della persona va in una direzione opposta a quella personalista e relazionale della dottrina cristiana, che non esenta la volontà da una valutazione etica»2 (F. Ognibene, Il pensiero di Michela Murgia, un’antropologia piegata sulla volontà soggettiva, in “Avvenire” dell’11 agosto 2023). Bisogna anche evitare di apparire troppo timidi, troppo timorosi di infrangere il precetto evangelico di “non giudicare”, sostenendo che «sulla fede della scrittrice sarda nessuno può pronunciarsi». Nessuno, l’ho già detto in apertura, vuole prendere, sia pure solo inconsciamente, il posto di Dio, ma il Signore comanda anche che non si resti muti, indifferenti dinanzi alle falsità e iniquità del mondo e, siccome Murgia si è proposta come modello intelligente, colto, sensibile, esemplare, di fede cattolica, è necessario avvertire e dissuadere la comunità dallo scambiare un’esperienza spirituale come quella da lei vissuta per un’esperienza esaltante di fede e, perciò, meritevole di essere emulata. E’ necessario capire che, nei limiti in cui ogni cattolico è tenuto a testimoniare la propria fede e a renderne conto anche pubblicamente, quello lasciato in eredità dalla militante sarda, è solo il frutto avvelenato di una credente sedicente che pretenderebbe di ridisegnare radicalmente la forma spirituale della fede cristiana attraverso un capovolgimento di fondamentali ruoli teologici: non più l’uomo come immagine di Dio, ma Dio come immagine dell’uomo.

Pare abbia detto o scritto da qualche parte Murgia che proprio lo studio della teologia l’avrebbe educata a “una cultura della domanda” in un mondo in cui invece sembra prevalere “il culto della risposta”. Però, non sembra sia stata coerente, perché, su questioni umane non banali, non è venuta esprimendo semplici interrogativi, ma si è invece molto affrettata a dare risposte tassative e chiuse a qualunque replica. Inclusione anziché esclusione, multiculturalismo anziché tradizionalismo nazionalistico e identitario, sessualità di vario genere e non già strutturata sul piano biologico, il cristianesimo come religione dell’et-et e non dell’aut-aut. Ella sembra non aver mai sospettato che su ognuno di questi termini, specialmente ma non esclusivamente nel quadro della cultura e della spiritualità cattoliche, si fronteggiano da tempo immemorabile posizioni e valutazioni profondamente diverse e opposte. In particolare, non si può affermare per motivi di comodo, peraltro fraintendendo il significato teologico relativo a ciò di cui si parla, che la religione cristiana sarebbe la religione dell’inclusività, dell’et-et, e non dell’esclusione, dell’aut-aut, per il semplice fatto che essa include per spirito d’amore ma esclude per spirito di verità, accoglie l’errante ma non l’errore, il peccatore ma non il peccato, il pentito ma non l’impenitente.

E Murgia, come aspirante cattolica, si è sempre comportata da impenitente ilare e recidiva, non da persona che, come si è cercato di insinuare, «invoca la libertà di credere e la possibilità di credere dentro una ricerca libera»3 (M. Iasevoli, Se fede e comunità procedono su strade diverse: restare madre e figli, in  “Avvenire”, 12 agosto 2023), semplicemente perché la sua ricerca, più che libera, è stata scorretta e rozza, superficiale e arbitraria. Questo consegue alla conformistica e acritica propensione murgiana a vedere «nel soggetto il solo arbitro di se stesso, senza riferimenti ad alcuna istanza oggettiva che lo precede e che condivide con tutti gli esseri umani. Su di me decido io, ognuno decida per sé. Molto in linea con l’idea oggi dominante sulla pubblica piazza, con la “ribellione” come cifra assai reclamizzata e però smentita da un effettivo allineamento al pensiero corrente. Cosa c’è in fondo di più organico alla mentalità diffusa del sentirci padroni di tutto ciò che ci riguarda, e del far pensare che ogni sistema di pensiero, ogni istituzione e legge che vi si oppone sia espressione di una cultura retrograda che crea infelicità? Il messaggio che ora prevale nei mezzi di comunicazione è della “scrittrice dei diritti”, “libera fino alla fine”, “attivista a testa alta”, con la sua figura eletta a simbolo della contestazione di un ordine che in realtà appare già sgretolato dal soggettivismo dominante»4 (F. Ognibene, Il pensiero di Michela Murgia, cit.).

Murgia in queste ore viene definita in vari modi: “intellettuale popolare”, “intellettuale engagée”, “eretica intellettuale gramsciana”, “cattolica progressista e incompresa”. Ma, in realtà, e anche a prescindere dalle sue evidenti stravaganze teologiche (su Dio, sulla Trinità, sulla Vergine Maria), tutto il suo pensiero ruota intorno ad una forma di pura regressività psicologica ed esistenziale, non mediata da particolari capacità critico-analitiche e da solide conoscenze teoriche, e infine veicolata da una forma espressiva di non eccelso valore letterario. Oggi soprattutto la sinistra la commemora come una sua grande eroina, accentuando cosí la curva della propria decadenza etico-culturale: da Gramsci a Togliatti, da Togliatti a Berlinguer, da Berlinguer a Michela Murgia!

 Francesco di Maria

 

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